Saturday, October 13, 2007

IN DOCCIA

Ha un registratore in mano.

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Istintivamente cerco di toglierglielo ma lui si ritrae. Dice:
“In questo nastro ci sono parole che andranno nella nostra grande enciclopedia. La nostra enciclopedia non è fatta di capitoli intesi come sequenza di teorie scientifiche o di osservazioni scientifiche. Ma voci. Voci registrate dal mondo, voci provenienti dall’anima, voci pronunciate durante l’amore o il dolore. Spero veramente di non aver offeso - quello che voglio sostenere è che la rete permette di restituire questa metafora del mondo dove tutto è collegato e molto è intercambiabile e riutilizzabile - ti prego prendila bene pensa che le tue parole così non moriranno mai e di conseguenza nemmeno tu (ora anche questa mia risposta viene registrata ed inserita in un contesto narrativo più ampio, magari domani se vuoi guarda il cielo) tutto si trasforma nulla si distrugge prima legge termodinamica lavoisier ciao buon fine settimana.”
“Aspetta. Mi devi qualcosa. Primo. Io non so che cosa ho detto. Sentivo solo questi due suonati che parlavano il Alessandro il Macedone, di Che Guevara, di Vargas Llosa, io non so che cosa ho detto, non mi ricordo fammi risenti re la mia voce.”
“C’era un mio amico” dice lui “ che parlava con tanta mimica. Non solo gesticolava per esprimere i concetti “vicino” “lontano” “grande” “piccolo” ma con le mani faceva piccoli disegni nell’aria per esempio se diceva casa faceva segno di un quadrato, se diceva vela di un triangolo, se diceva mondo di un cerchio. Questo ci pone il problema delle diverse dimensioni del linguaggio. Quello che tu stavi facendo, il coitum con questa brava ragazza proveniente dal Grande erg Occidentale, rappresenta la tua parte non verbale, ma purtroppo essa andrà dissolta, perduta come un gregge di ovini giù per una scarpata dell’Anatolia. Ora senti la tua voce:”
Si sente una voce gracchiante uscire dal registratore. Sembra un individuo sepolto in qualche fossa degli inferi:
”Caro Miguel, sono venuto a conoscenza del fatto che a Hollywood girano figa, alcool e ispanici.Da anni tento di diventare un ispanico e ho già realizzato due demo. Inoltre, faccio parte di un gruppo molto affiatato e desideroso di sfondare nel mondo degli ispanici.Sono pronto ad abbandonare l'università domani stesso se, come mi auguro, risponderai positivamente alla mia richiesta di ottenere qualche aiuto per avere finalmente organi interni ispanici e genitali mulatti.”
“Ma non è possibile che io abbia detto queste cose mentre sfottevo. Credo che sia un errore.”
“Ma anche se è un errore va bene lo stesso. Tutto verrà omologato, archiviato alla perfezione.”
“Sono incredulo. Ma dove tenete tutta questa roba? Su di un monte? Sul monte Ararat?”
“Vedo” Dice lui grattandosi la testa “che hai intuito e intelligenza. Teniamo tutto in Abruzzo, in una base nella Maiella, recintata con filo spinato elettrificato guardie giorno e notte sulle torrette e cani pastori maremmani di guardia. A dire il vero sono pastori, stanno più attenti che la gente non esca piuttosto che a quelli che entrano. Ma non abbiamo mai avuto problemi. Se volete venire, tu e i tuoi amici, siete benvenuti.”
“Ora siamo un gruppo molto esteso, ci sono alcune ex spie del SISMI, un Direttore di un gigantesco gruppo bancario legato a Berlusconi, abbiamo addirittura un prigioniero appresso”
“ma potete venire tutti… quando sarete all’interno ovviamente sarete sorvegliati. Non ci saranno problemi.” Dice lui sorridente.
“Oh verremo” rispondo “ però credevo di conoscervi meglio “mi domando anche quale sia la vostra religione.”
Lui su concentra e prende in mano il mozzicone. Dopo averlo guardato con estrema attenzione mi risponde soppesando le parole con precisione e lentezza:
“Il matrimonio romanès oggi si svolge seguendo i canoni della cultura maggioritaria, in chiesa, seguendo il rito cattolico a cui i Rom sono allineati più per convenzione che per sincera devozione, essendo la loro religione soprattutto esistenziale. Il matrimonio fra i Rom abruzzesi e una grandissima festa, quasi sempre gli sposi vengono accompagnati da una scintillante carrozza trainata da più pariglie di cavalli. La festa nuziale, tra lauti banchetti e abbondanti libagioni, costituisce un momento particolare di incontro fra gruppi familiari diversi ed occasione ghiotta per sviluppare nuove relazioni sentimentali.”
Poco dopo il maggiordomo-analista-eunuco mi accompagna a fare la doccia. Intanto mi convinco che forse è meglio che continui a far riferimento a lui per tutti gli sconvolgimenti che si stanno addensando dentro il mio duodeno. Mi vien da piangere a pensare a quella volta che mi umiliarono alcuni eleementi di una sedicente squadra di volontari di ordine pubblico. Mi perquisirono tutto eccetto le cavità, ma non mancarono di alludere al fatto che potevo aver nascosto qualcosa anche all’interno degli intestini. Ma mi commuovo anche a pensare a quel postino che passò tre volte a casa mia per recapitarmi una raccomandata, che poi era una multa, ma risparmiandomi di far la fila il giorno dopo alla posta.
Attraversiamo un bel corridoio con finestroni che danno sul Canal Grande e vediamo le gondole e il vaporetto transitare in silenzio. Dall’altra parte della parete ci sono ampi specchi intarsiati in legno con figurazioni barocche e tante foto in bianco e nero di Rio de Janeiro, strano perché quella sarebbe la città dei colori.
Nei paraggi delle docce incontriamo il mio amico. Ha un accappatoio bianco e pare molto rilassato. Dice:
“Quello che mi piace nel telefilm “six degrees of separation” è l’interazione tranquilla tra miliardari e gente comune, spiantati, falliti, poveri. Tutto il romanzo ottocentesco si è arrovellato ad analizzare tutte le variabili sulle differenze di casta e sui progressi sociali delle categorie più svantaggiate, adesso nella Grande Mela. E poi c’è l’elemento fondamentale che viene smarrita la dittatura del lieto fine, degli avvenimenti che dovrebbero concludersi come noi vorremmo, con la soluzione, il discioglimento dei problemi, mentre come dice una prof di letteratura l’unica cosa certa della vita è che non sappiamo che cosa accadrà.”
Mi viene dato un accappatoio bianco e mi avvicino alle docce. Ma il muro che ci separa dalla sezione femminile non arriva fino al soffitto e si sente quello che si dice dall’altra parte. Una soave voce di ragazza dice queste parole:
“Oggi ho paura, non riesco a dormire e ho paura di cio' che accadra', della vita che non sembra aver un senso o giustizia di qualunque genere. Ho una brutta cicatrice, frutto di una stupida caduta, che non sembra voler sbiadire, e' ancora di un rosso accesso anche dopo vari mesi; delle piccole bollicine, che a volte mi danno prurito ed hanno invaso progressivamente le mie braccia ed ora si stanno espandendo ad altre parti del corpo, un'allergia improvvisa non so bene a cosa, il mio corpo diventa sempre piu' tondo e sta perdendo le sue curve una volta abbondandi, ma che ora si stanno piano piano unendo in un'unica grande curva. Oggi il mio corpo mi e' estraneo, la mia vita mi e' estranea e mi intimorisce, non so cosa ne vorrei fare, non so che direzione darle, ma soprattutto non so se ci sia nulla che abbia un senso. Non ho paura dell'uomo nero e nemmeno di Master King o di Maria Strong, ma della vita, degli attimi che passano e che mi negano la consolazione del riposo, nonostante il sonnifero assunto in quantità da cavallo. Sono stanca, ma non riesco a fermarmi, non riesco a dormire, non riesco a reagire. Vorrei scappare ma non posso, legata a questo posto dalla responsabilita', dalla coscienza che non mi lascia scelta. Costretta a guardare in faccia ogni giorno, tutto cio' che mi ha reso un essere fragile, le mie paure che non ho mai saputo spiegare, che non hanno mai avuto un volto, una ragione d'essere. Il corridoio di questa “casa chiusa”, lungo, stretto e buio. Una bambina in piedi, sta piagendo, guarda la stanza in cui i genitori dormono, vorrebbe essere accolta nel loro letto, protetta dalle sue paure, ed invece e' li', sola, singhiozzante ed atterrita. Ho questa immagine nella mia mente, non so se sia un ricordo vero, o una falsa memoria, ancora oggi non ho imparato a fidarmi dei miei ricordi, delle mie memorie. Neanche allora le mie paure erano semplici, non c'era un uomo nero a spaventarmi, ma forse allora mi terrorizzava il vuoto che mi sembrava riempire la vita, l'assenza di una ragione, di un posto sicuro, di un mondo protetto. Forse le pillole non funzionano, forse ho veramente bisogno di quello che oggi la Maistress-Maitress ha chiamato il dottore dei pazzi, asserendo di non averne bisogno, perche' lei non è pazza... ed io? Io sono forse pazza? O forse loro, la Maitress, Master King sono ottusi, di mente chiusa? Tanto intimoriti di ammettere dei avere delle debolezze da preferire il malaffare, la malavita, l'incompresione, le battaglie al rischio di sembrar fragili. Ho tanti pensieri, forse illogici, senza senso e direzione, come mi sento io. Non ci sono uomini neri in agguato, a parte Master King, ma solo la vita con la sua faccia a volte terribilmente mostruosa, con la sua inutilita' a cui non sappiamo rinunciare.”
Segue un applausetto di tre quattro persone. Che cosa era? Una piccola rappresentazione con la maschera neutra di Lecoq? Oppure veramente una ragazza disperata? Io e il mio amico ci guardiamo allibiti. Forse è il caso di chiamare l’infermiere.

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