Tuesday, November 20, 2007

sasate


Si parla di un armadio svuotato in maniera malandrina e poi eliminato del tutto. Chi ha compiuto questa azione sostiene che non è possibile fare una riunione per determinare cosa fare di un fottuto armadio che dava fastidio con la sua sola presenza. Altri dicono che era lì da anni e che poi tutto questo fastidio sarebbe emerso anche prima. Si fa anche notare che potrebbe tutto ciò essere una forma sfregio che pochi eletti farebbero nei confronti della massa dei diseredati, pochi eroici lavoratori indefessi contro il popolo bue dei pubblici lavoratori nullafacenti e imboscati.
Ma ciò che pare evidente è il carattere immanente e necessario del dibattito. Il comportamento di gruppo non può che essere interpretato in maniera psicoterapeutica. Si capisce dalla caparbia spinta all’eloquio degli astanti, serpenti a sonagli che devono pungere la rana loro malgrado, a costo di annegare. Non vi è alcun freno, nessuna possibilità di scelta, nessuna opzione, nessuno che potrebbe dire: ragazzi fermiamoci, parliamo un po’ di attualità, di sport, dell’andamento delle borse asiatiche. Bisogna buttare fuori tonnellate di stress collettivo accumulate, inscenare il travolgente psicodramma della danza rituale delle opinioni e dei cazzi propri camuffati da interessi comuni.
Seguono argomentazioni sui sindacalisti da votare, i quali non negoziano nulla, ma bisogna pure che in qualche modo siano rappresentativi, di cosa non si sa: della professione, delle idee politiche, dell’area geografica di origine. E poi dagli anche contro l’ipocrisia degli audit che nessuno sa che non controllano se nelle corsie passino o meno bestie feroci o puzzolenti, ma solo se vi è documentazione su un eventuale controllo dei flussi migratori di animali pedestri o volatili attraverso gli ambienti ospedalieri.
Alla fine tra lo scolarmi una bottiglia di sambuca e salutare cortesemente, scelgo la seconda.
Una certa gentilezza nel tratto non ha comunque occultato il fatto che il gesto, fin troppo repentino, ha anche un contenuto ingiurioso.
Stranamente l’infermiere e Cazzo Cazzaniga mi seguono. Ci immergiamo nella notte solita caotica. Un traffico dell’ostia. Non si sa dove vada tutta quella gente. Guida l’infermiere una berlina verdastra presa a prestito da chissà chi. Mi appisolo e sento i due che parlano di filmografia. L’uno cita “Romper Stomper”, un vecchio film di Skinheads con lettura di brani di Mein Kampf, fuga attraverso capannoni post-industriali parzialmente abitati con passaggi attraverso pertugi e botole, citazioni di Arancia Meccanica e situazioni alla Nabokov con un personaggio stile Lolita madre di tutte le vendette. I lettori di Mein Kampf, mi sembra che sia stato detto, sono lettori mono-volume. Non sarebbe un problema pubblicare quel libro se non fosse che per molti è l’unica lettura della loro triste esistenza. Altre boiate tipo Celine, Nietsche o Bret Easton Ellis girano facilmente per le librerie ma non c’è dubbio che possano restare letture univoche per il proprio pubblico.
Poi i due ciarlieri ciarlatani menzionano il mancato finale dei “Sopranos” dove intorno alla famigliola protagonista a cena in pizzeria si aggirano fior fior di gangster armati e pure agenti dell’FBI. Meadow, la promettente figlia del Boss Tony, ritarda il suo ingresso a causa di un parcheggio fallimentare, ma poi finisce. Ma è veramente finito? Non potranno certo tornare a riunire la troupe per girare altre due o tre puntate esplicative, forse le hanno già girate e non si sa. Ma forse è giusto così: la famiglia soprano riunita e in bilico tra la fine e un futuro promettente per i ragazzi, che era l’obiettivo di quel mago di James Gandolfini. Tragli smacchi più grossi c’è da segnalare quello della Dottoressa Jennifer Melfi, che scopre che la psicoterapia praticata ad un criminale non fa altro che rafforzare il suo comportamento anti-sociale.
Finalmente ci fermiamo e entriamo in un’altra abitazione privata. Ho sonno, o forse mi avevano drogato quindi gli avvenimenti che seguono sono piuttosto confusi, almeno nel mio ricordo. Nell’appartamento ci sono tre persone: una verosimilmente è la sorella della moglie di Cazzaniga, un altro è un bel biondino di trentasette anni, uno sceneggiatore della RAI che ha conosciuto Garinei e Giovannini, che ha una certa intesa sessuale con la donna, ma che ha sempre tenuto le mani al loro posto. Il terzo è un uomo sulla sessantina già ubriaco, che si esprime in prevalenza con gesti eseguiti con sicurezza ma piuttosto misteriosi.
Io mi sono stravacco su di un divano ad occhi chiusi. La discussione segue itinerari bizzarri. La donna:
“Prima i corsi sulla ricerca della felicità, oggi, nelle università americane, vanno diffondendosi i corsi anti-stress, per venire incontro agli studenti che più non ce la fanno a stare al passo dell´ipercompetizione che caratterizza lo studio, il rendimento, il successo, l´auotoaffermazione, che sono i valori che la cultura americana da sempre, ma oggi più che mai, va diffondendo. Quello che spaventa è che non sembrano esserci mezze misure: o sei adeguato a questo o ti tocca la povertà più nera. Non ci sono più occupazioni medie dove può bastare impiegare un po’ di intelligenza basata sul buonsenso e non sullo sbranamento reciproco.”
Lo sceneggiatore, come al solito, non si capisce se voglia contraddire la propria fidanzata o seguire il suo ragionamento e dice:
“Lo stress non è una malattia, ma il "sintomo" di una malattia, tipica di quelle società caratterizzate dall´iperefficienza e dalla performance spinta, dove il conflitto nevrotico non è, come nelle "società della disciplina", tra il permesso e il proibito, ma tra il possibile e l´impossibile, dove la domanda incalzante non è più: "Ho il diritto di compiere quest´azione?", ma "Sono in grado di compiere quest´azione?" “Sono in grado di stare sveglio tutta la notte per compilare la relazione che mi ha chiesto il mio capo?””
A questo punto cazzo Cazzaniga si dirige deciso verso un cassetto ed estrae un pistola a tamburo. La donna urla “Ah! Ah! Oh! Oh!”, l’anziano si mette le mani in faccia, lo sceneggiatore impallidisce e indietreggia. Io mi sveglio del tutto e osservo sbigottito. L’infermiere chiede con un filo di voce: “Cazzo, ma che cazzo fai?” Ma non fa in tempo a finire che quello ha già sparato due colpi al biondino autore, si saprà poi, anche di due puntate di “La squadra”. Due sassate secche e rumorose nel pieno della testa. La vittima crolla al suolo senza alcun vocalizzo, colpita in fronte e in mezzo ai denti. Intorno a lui il sangue si allarga come la pisciata di una grassa bambina dinanzi ad un orso.
La donna assume uno sguardo desolato, come per dire anche: lo sapevo. Il sessantenne fa alcuni gesti con le mani come per dire: calma regaz, calma. Io e l’infermiere ci guardiamo con aria interrogativa come per chiederci: e adesso questo pazzo proseguirà la strage? Ma lui assume un’aria come per dire: eh bè, mi è scappato, quello che è fatto è fatto. Nemmeno fosse stato sorpreso a mettersi le dita su per il naso.
Dice ora Cazzaniga: “Ora è meglio che io vada a casa. Voi due accompagnatemi.”
L’infermiere osa: “Lo dico così, col beneficio d’inventario… chiamare la polizia… no, non è il caso vero?”
Risponde la donna, pur turbata dalla recente vedovanza:
“Bè, casomai aspettiamo domattina. Magari io e Flavio diamo una riassettatina, tiriamo via qualche impronta. Poi pensiamo cosa dire. Voi andate pure.”
“Ah, bene” dico “perché in effetti, per quanto la cosa sia imbarazzante, io anche se ci sono le mie impronte… insomma… non mi sento di avere avuto un grosso ruolo nella faccenda.”
Cazzaniga mi guarda un attimo veramente seccato, ma si capisce che esclude a priori di sparare anche a me. Mi rispetta. Meno male.
“Sarà meglio che facciano loro.” Dice l’infermiere “Conoscono l’ambiente meglio di noi.”
“Ah sì, indubbiamente” convengo.
“Volete qualcosa da bere?” Chiede la donna.
“Oh no” Faccio io “C’è un bagno?”
“In fondo a destra”
Solito. Non si sa perché “in fondo a destra” detiene la frequenza di 80% contro il solo 20% di “in fondo a sinistra”. Forse dietro a questa c’è una ragione architettonica precisa, una motivazione legata alla posizione delle tubature di scarico rispetto all’asse dell’edificio e della posizione delle camere da letto. Fatto sta che proprio mentre sto uscendo si sente un potente trillata di campanello e questo basta per distrarmi al punto che finisca per mettere un piede nella pozza del sangue:
“Ma che cazzo fai?”
“Chi cazzo è?”
Vengo rimandato in bagno a rimediare e incomincio una pulizia assurda della suola per la quale impiego un rotolo intero di carta igienica che poi affogo nel cesso. Mi sono anche sporcato le mani di sangue, che mi lavo in maniera imperfetta finendo per sbaffare anche un asciugamano giallo. Quando esco vengo a sapere che aveva suonato per errore un pizzaiolo da asporto. Ma sono le tre di notte!
Finalmente io e l’infermiere accompagniamo a casa quell’animale. Durante il percorso l’aria è pesante. Prevale il silenzio. La tensione si taglia come un coltello rovente il burro fuso. Cazzaniga si da un contegno giocherellando con il tamburo della pistola. L’infermiere osa fare una domandina sulle motivazioni del fattaccio:
“Penso che quell’uomo ti avesse fatto un torto pesante… si sa è così… si rimugina, si prova a perdonare, ma poi il rancore riemerge.”
“Quello faceva il fighetto” Dice Cazzo “Non che mi avesse mai fatto nulla di male. Mi dava un po’ fastidio per come trattava la sorella di mia moglie. Non voleva che andasse con altri uomini. Il classico tipo gelosissimo. La controllava con telefonate senza preavviso.”
“Doveva preavvisare con una telefonata?” Ecco, giuro che questa domanda era meglio non farla, ma mi è scappata.
“Oh, su, il tuo amico mi giudica male.” Dice all’infermiere “Ma io sono fatto così. Sono impulsivo. Una volta ho salvato due ragazze. Le stavamo stuprando insieme ad un mio amico che adesso è in prigione in Ecuador. Intanto le tenevamo sotto mira. A me venne l’idea di obbligarle a strozzarsi da sole mentre noi facevamo i nostri porci bisogni si di loro. Ma non era una cosa grave e loro l’avevano capito. Non appena stringevano troppo evidentemente perdevano i sensi, nessuno è mai riuscito a strangolarsi da solo. Così, ripetuta due o tre volte questa manovra ci siamo sentiti soddisfatti e le abbiamo lasciate andare e la polizia non ci ha mai beccati. Lui l’hanno poi accusati dell’omicidio di tre nativi del rio delle amazzoni, tra cui uno nero, ma lui ne aveva ammazzati solo due ne sono sicuro, ma adesso poveretto sta scontando tre ergastoli.”
“Veramente sfortunato.”
Finalmente arriva a casa e sale dalla sua mogliettina. Si spera non prosegua la strage, ma non sembra vieppiù nervoso. Noi possiamo rientrare. Dopo quella del ladro di eroina, ci mancava un’altra notte movimentata.

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